Pil addio, nasce il Piq: la ricchezza è di qualità

7 Novembre 2010

Un Paese diviso in due. Con un motore economico antiquato e in affanno, che perde colpi ma muove ancora la maggior parte del fatturato. E un nuovo volano di sviluppo soft, che cresce lentamente ma con continuità. E’ la fotografia dell’Italia vista dal Piq, il Prodotto interno di qualità. Questa Italia vale il 46,3 per cento della nostra economia: 430,5 miliardi di euro nel 2009.

Una stima da prendere con cautela perché non è semplice stabilire che cosa sia la “qualità”. Si sa che ha a che fare con il benessere, con la felicità, con l’equilibrio dei bilanci e con la stabilità degli ecosistemi. Ma alla fin dei conti resta un concetto sfuggente, “dinamico e continuamente aggiornato”, osserva il rapporto sul Piq che sceglie di non cimentarsi nella scivolosa definizione di “felicità” e di concentrarsi invece sulla misurazione della qualità in funzione della competitività del sistema. Il rapporto analizza 27 settori dell’economia pesando il contributo in termini di capitale umano, conoscenza, sviluppo del prodotto o del servizio, costruzione di reti nazionali e internazionali.

Nasce così una nuova “bilancia” che può dare un contributo importante nel mettere a fuoco la direzione di marcia dell’economia. Specie in tempi di crisi.

Il Pil (Prodotto interno lordo) fu l’unità di misura utilizzata per uscire dalla Grande Depressione del ’29, in un periodo in cui la produzione di acciaio veniva considerata un indicatore universale di buona salute economica. Ma il Pil è un misuratore cieco: mette all’attivo anche i soldi spesi per riparare le catastrofi derivanti dal malgoverno del territorio e se un terremoto distrugge una città risulta un arricchimento collettivo. Perciò in tanti – a cominciare dal “Rapporto sulla performance economica e il progresso sociale” curato da Stiglitz, Sen e Fitoussi su incarico del presidente francese Sarkozy – cercano un’alternativa.

La Fondazione Symbola, con l’aiuto di un team formato da Luigi Campiglio, pro rettore dell’Università Cattolica di Milano, da oltre 150 esperti di settore e da rappresentanti di Confindustria, Coldiretti, Cna, Confartigianato, Confcommercio, ha dato un contributo organizzando il rapporto sul Piq come un “cantiere aperto” per mettere a punto uno strumento capace di misurare non solo i flussi, le quantità, ma anche lo stato di salute reale dell’economia.

L’obiettivo, precisa nell’introduzione Ferruccio Dardanello, presidente di Unioncamere, è “distillare” dal Pil la sua essenza, cogliendo la nota corale della qualità: “La qualità costituisce un indubbio elemento di forza delle produzioni italiane. Questa difficile fase che stiamo vivendo sta tuttavia dimostrando che la qualità, da sola, probabilmente non basta più alle nostre imprese per farsi largo nel nuovo scenario del commercio internazionale. I nostri campioni dell’industria manifatturiera hanno capito che l’offerta dal profilo qualitativamente elevato resta competitiva solo se frutto anche di una più ampia capacità innovativa e, soprattutto, di una maggiore efficienza produttiva non solo interna ma soprattutto di “sistema” o di filiera”. L’Italia delle eccellenze insomma deve saper far squadra per imporre i valori dell’efficienza, dell’innovazione, del rispetto del territorio e della coesione sociale senza i quali la crescita si blocca.
Le grandi questioni ambientali – aggiunge Campiglio – hanno messo in evidenza la questione dei “beni comuni”, i commons, – oggi divenuti di importanza ineludibile per le ripercussione sul clima, sull’equilibrio fra domanda e offerta agricola e sulla sicurezza alimentare: “Pensiamo al crescente problema delle proprietà abbandonate nelle campagne e sui monti italiani: la questione centrale è come riuscire a fare in modo che i “beni comuni” diventino un “bene comune” anziché un “male mondiale””.

Per Ermete Realacci, presidente di Symbola, il Piq fornisce l’occasione per rileggere quello che per anni le statistiche non hanno saputo cogliere: la trasformazione di una parte del nostro sistema produttivo nel segno della qualità, un processo che in alcuni comparti ha permesso di aumentare i fatturati diminuendo la quantità di merce. Ad esempio si è dimezzato il numero di scarpe esportate, ma il fatturato complessivo del settore è aumentato. Si produce il 40 per cento in meno di vino rispetto alla metà degli anni Ottanta, ma il valore dell’export è quadruplicato. “E’ un’Italia”, conclude Realacci, “che ha un grande bisogno di essere messa in rete e di riconoscersi in un progetto comune, quello della qualità. Con il Piq offriamo uno strumento per ribaltare la prospettiva della crisi: giocare non più in difesa, ma con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita e la competitività del Paese”.

(La Repubblica – 19 maggio 2010)