Il Parco del Matese: luogo-modello di produzioni sostenibili e cura del territorio

6 Settembre 2021

È il momento di cominciare dalle aree di peculiari valori naturalistico – ambientali e a seguire con la generalità delle Aree Interne del nostro Appennino, di porre in atto un consistente processo politico – culturale, teso all’integrale ri-acquisizione del ruolo originario che tali aree hanno posseduto e svolto per secoli, se non per millenni: la riconferma, sul campo, della loro vocazione di soggetti produttori e distributori privilegiati di materie ed energia.

Nel 1872 il governo degli USA istituì il Parco Nazionale dello Yellowstone, al fine di porre riparo alle alterazioni subite dall’ambiente, in seguito allo sfruttamento delle risorse minerarie contenute nei giacimenti della costa orientale degli States. L’idea originaria, contenuta nell’atto fondativo consisteva nel considerare il bene Parco per il suo riconosciuto, puro e semplice, utilizzo ricreativo.

Ben presto, però, tale principio fu, anche in Europa, sostituito da quello teso ad evitare, in questi luoghi, interventi antropici limitanti ogni e qualunque processo evolutivo naturale.

È a tutti ben noto, quanto, nel corso degli anni, le norme, che hanno promosso e accompagnato la gestione delle Aree Protette, siano risultate sempre più puntuali e stringenti. Per cui, senza voler entrare nello specifico legislativo, può essere utile porre in risalto quantomeno le più evidenti, positive ricadute, sul piano, sia naturalistico che economico, del saper ben gestire un particolare luogo – modello di Area Interna, facendo particolare riferimento a quella, a noi più vicina, coincidente con il Parco Nazionale del Matese.

Sono state le Aree Interne, infatti, a rifornire, da sempre, i centri urbani maggiori, dei prodotti alimentari provenienti dalle attività agricole e pastorali, presenti sui territori. Attività fondate, soprattutto, sulle valenze naturalistiche dei luoghi, quali le caratteristiche geomorfologiche, l’altitudine, la vegetazione oltre che della detenzione delle risorse idriche disponibili, nel corso degli anni e delle stagioni.

In questi luoghi, in ragione della mancata presenza di combustibili fossili, le risorse energetiche adoperate, per il normale, quotidiano svolgimento delle attività umane, provenivano in larga parte o direttamente dal legno delle riserve boschive o dal carbone prodotto in loco, tramite il tradizionale e ben conosciuto processo pirolitico, cui il materiale legnoso veniva sottoposto.

L’energia idraulica, tradizionalmente usata in ambito locale, per lo più, per la molitura del grano e sia pur meno di frequente, per quella delle olive, assunse, a sua volta, un nuovo, importante e fondamentale ruolo, in seguito all’invenzione della lampadina e della macchina elettrica. La relativa facilità sottesa al trasporto, di tale forma di energia, anche per lunghe distanze, dal luogo di produzione a quello di consumo, permise presto di riconoscere l’importanza in pregi e vantaggi della nascente idroelettricità. Fu essa, infatti, la prima forma di energia sostenibile, utilizzata su scala industriale, tuttora fortemente presente nel panorama di produzione e consumo.

In breve tempo, in molti fondovalle fluviali, compreso quello del nostro Biferno, laddove le condizioni geomorfologiche dei luoghi rendevano possibile e favorevole la trasformazione del potenziale idraulico presente, nel corrispondente cinetico – meccanico e quindi in elettricità, fu possibile, già all’inizio del secolo scorso e in molti dei nostri piccoli centri urbani, accendere le prime lampadine.

Si costituirono, per così dire, le prime, sia pur spurie, forme di comunità energetiche, sul cui solco e con le odierne e più avanzate risorse tecnologiche, è quanto mai possibile una loro attuale ri-proposizione. Ci troviamo, cioè, nello specifico, in presenza, ormai, di una più che collaudata modalità risolutiva, in grado di consentire, finalmente, agli abitanti delle zone interne, la possibilità di perseguire i tanti loro, economici ed ambientali, vantaggi, sia per le quotidiane attività che per l’indubbia, superiore, qualità di vita.

Ultima e non meno importante considerazione, di quanto in parola, è quella relativa all’azione di costante cura manutentiva di tali territori, a beneficio, non solo dei fruitori, ma anche dei semplici frequentatori di tali beni comuni disponibili, non sempre adeguatamente percepiti come insostituibili elementi fruttificatori di altre utili e susseguenti, importanti risorse.

Come, sia pur per semplice consuetudine, nel comune quotidiano agire, avveniva in passato, è assolutamente necessario ripristinare, a cominciare dalle zone di maggior pregio naturalistico – ambientale, quella continua e costante cura che siffatti patrimoni naturali ricevevano da chi ci ha preceduto ed hanno a noi consegnato. È, dunque, doveroso, da parte di noi contemporanei, agire, con tempestività e rigore, facendo ricorso a tutte le tecniche disponibili ovvero dalle più moderne alle più tradizionali, per costruire e/o ripristinare tutte quelle strutture (vedi muretti a secco), tuttora efficaci, in grado di contrastare i sempre più spazialmente diffusi e alterati equilibri idraulico-forestali.

Le ben note conseguenze, sulle alterazioni dei tradizionali equilibri ambientali, che si vanno inesorabilmente prospettando e che inevitabilmente si amplieranno nel prossimo e remoto futuro, richiedono interventi in grado di regolamentare, in primo luogo e sempre più di frequente, lo scorrimento delle acque di superficie e quindi di quelle d’infiltrazione. È soltanto da un loro efficace controllo che si potrà permettere, sia un adeguato rimpinguamento delle falde idriche profonde, che la costituzione di pari e diffuse riserve di superficie e dunque il poter soddisfare quanto inevitabilmente richiesto, sia della natura nel suo insieme, che dall’uomo e dalle sue attività.


Credit: https://www.primonumero.it/2021/07/il-parco-del-matese-luogo-modello-di-produzioni-sostenibili-e-cura-del-territorio/1530676122/