Il castello di Petrella Guidi: le mura, il mastio, la chiesa.

Il castello di Petrella Guidi: le mura, il mastio, la chiesa.

Relatore: Prof. Arch. G. Cruciani Fabozzi
Correlatore/i: Arch. Andrea Ugolini
Laureando/i: Simona Battistini
Anno accademico: 1992/1993

Abstract

Introduzione
Il borgo di Petrella Guidi è situato su un affioramento roccioso (578mt. s.l.m.), di natura calcarea. Sorge in posizione dominante la valle del fiume Marecchia, lungo il controcrinale che scende dal monte Ercole. Il suo impianto si presenta come un aggregato diacronico costituito dalla rocca, ubicata nella parte più alta dell’abitato, dalla chiesa e dal borgo, sorto a ridosso delle mura, la cui conformazione segue l’orografia dello sperone roccioso.

Note storiche
Le origini: la valle del Marecchia ha sempre avuto un ruolo primario fra le vallate appenniniche tosco-romagnole in virtù dell’importante posizione strategica quale principale via di comunicazione fra il litorale adriatico e l’alta Val Tiberina. In conseguenza ai criteri di insediamento tipici dell’Alto Medioevo gli imponenti speroni rocciosi che caratterizzano il paesaggio montefeltrano furono scelti come baluardi naturali dalle popolazioni che si fermarono in queste terre. Il nome di Petrella trae la sua origine proprio dal fatto che essa sorge su uno di questi affioramenti di roccia calcarea.
Sec. XII: la prima menzione di un nucleo fortificato è contenuta nella Bolla di Papa Onorio II del 30 aprile 1125 in cui si legge “castellum quod vocatur Petrelle” che potrebbe riferirsi alla fondazione di un complesso fortificato. L’organismo difensivo è composto di torre con cortile in pietra. La sua posizione dominante consentiva l’avvistamento, la segnalazione ed il rifugio di persone limitatamente ai periodi in cui si manifestavano pericoli.
Sec. XIII: il primo personaggio storico che porta il predicato di Petrella si presenta nel 1216, quando “Uberto de Petrella” partecipa alla guerra di Rimini contro Cesena sotto il controllo militare di Buonconte da Montefeltro. Della famiglia Tiberti, che guidò la comunità rurale di Petrella dal 1284, il personaggio più noto è Guido, che fece parlare di sé le cronache dell’epoca per aver rapinato, nel 1297, il conte Ludovico della Savoia, uomo importante che si recava presso la Curia romana. E’ in questo periodo che il castello di Petrella, anziché Tiberti, comincia ad essere chiamato Petrella di Guido da cui ne venne la denominazione Petrella Guidi.
Secc. XIV-XV: nel 1329 Petrella viene concessa, insieme ad altri 23 castelli, a Nerio della Faggiola e tale rimase fin dopo la pace di Sarzana (1353). Immediatamente dopo (1355-59) le forze militari del cardinale Albornoz conquistano quasi tutti I possedimenti dei signori della Faggiola, compresa Petrella. Nel 1377 gli Oliva vengono nominati Conti di Piagnano dal papa Gregorio XI ed ottengono il possesso di alcuni castelli tra cui Petrella. Nel 1380 gli Oliva si legano ai Malatesta attraverso un vincolo federativo di leale fedeltà e di adesione politica. Nel 1410 Petrella fu in possesso per pochi anni di Paolo Correr, nipote di papa Gregorio XII, e nel 1415 i Malatesta diventano unici possessori del castello, avendo cacciato gli Oliva.
Secc. XVI-XVIII: il 1571 segna il passaggio di Petrella alla Camera Apostolica. Nel 1631 la comunità di Petrella fa richiesta, tramite il governatore Pietro Ettoni, di ampliare la chiesa di Sant’Apollinare per ospitare un’immagine della SS.ma Vergine. Tale richiesta di ampliamento significa che una chiesa interna al castello era già esistente ed era probabilmente coincidente con l’attuale abside della chiesa stessa.
Sec. XIX: agli inizi del XIX secolo, quando Monsignor Bindi divenne responsabile del borgo per conto della Repubblica Cisalpina, dovrebbe risalire il campanile. Il taglio della muratura ed il tipo di paramento murario attestano infatti la non contemporaneità del campanile al resto dell’edificio.

Metodologie di rilievo
Per l’acquisizione dei dati relativi alle geometrie si è proceduto eseguendo inizialmente un rilievo strumentale poi integrato da un rilievo manuale. I manufatti oggetto dell’indagine sono stati inquadrati in una rete di punti affidabili sui quali ci si è appoggiati per le rilevazioni successive. Si è quindi costruita una rete di punti, vertici di poligonale aperta e chiusa, determinati plano-altimetricamente mediante l’uso di un tacheometro elettronico in grado di misurare angoli azimutale e zenitale, distanze inclinate ed orizzontali, dislivello e coordinate di un punto sconosciuto. L’utilizzazione di tale strumento si è resa indispensabile per la presenza di un terreno particolarmente accidentato altimetricamente. La rilevazione del mastio si è immediatamente presentata più complessa per l’eccessiva altezza e per l’assenza di strutture di orizzontamento e di collegamento verticali all’interno della torre. Solo con l’ausilio di un impalcato di tubi innocenti ci si è potuti mettere a diretto contatto con ogni singola porzione del manufatto tramite la costruzione di un reticolo costituito di fili elastici ordinati a formare quadrati di un metro di lato a cui riferire i singoli elementi di apparecchio murario. Per la determinazione delle geometrie e dei materiali del fronte sud della torre è stato eseguito un rilievo fotogrammetrico terrestre a piano inclinato.

Criteri di registrazione delle U.S.M.
La lettura stratigrafica degli elevati si è basata sull’analisi delle Unità Stratigrafiche Murarie e degli Elementi Architettonici valutandone i rapporti e ponendosi l’obiettivo della  interpretazione del complesso architettonico, attraverso la sequenza degli interventi che lo stesso ha subìto, sulla base delle evidenze superstiti. Ciascuna porzione del manufatto così individuata è stata descritta mediante una scheda appositamente predisposta, da utilizzare in correlazione agli elaborati grafici. In essa sono stati descritti i litotipi, le dimensioni e le tecniche di lavorazione, il modo di posa in opera e le caratteristiche dei leganti. Inoltre, nell’ottica di un’analisi del manufatto finalizzata al recupero, una parte di scheda è stata dedicata alla valutazione dello stato di conservazione. Si è poi costruita la sequenza stratigrafica analizzando i rapporti fisici ed analogici intercorrenti tra una U.S.M. e l’altra. L’utilizzo di tale metodologia supportata da fonti di informazione indirette ha permesso l’individuazione di tre fasi principali di formazione: la prima (XI-XII sec.) in cui venne costruito il complesso torre con cortile; la seconda (XIII sec.) in cui venne costruita la prima cinta muraria comprendente la parte absidale dell’attuale chiesa ed una torre poligonale; la terza (XVII sec.) in cui venne costruita la chiesa di Sant’Apollinare.

Stato di conservazione
L’analisi del degrado e dei dissesti è stata condotta individuando le cause responsabili del decadimento dei fabbricati oggetto di indagine:
le mura – la prima cinta muraria che probabilmente delimitava la parte più alta del castello è talmente soffocata da arbusti di varia specie e notevole vigore che le rendono difficilmente comprensibili nella loro interezza. L’unione dei movimenti franosi all’azione disgregatrice dell’acqua di percolamento, del gelo e disgelo, delle oscillazioni termiche e degli apparati radicali ha prodotto la perdita di coesione delle murature, visibile in particolare nel torrione poligonale N-E e in parte delle mura esposte a Nord;
il mastio – la torre con il cortile ad essa annesso sono da anni abbandonati e sono giunti a noi allo stato di rudere. L’edera ricopre interamente i fronti Nord ed Est provocando la perdita di coesione delle murature a sacco. La mancanza di copertura e di un sistema di protezione delle creste delle murature perimetrali favorisce la penetrazione delle acque meteoriche che, oltre a disciogliere e dilavare lentamente la malta di connessura, causa, in concomitanza dell’azione del gelo e disgelo, profonde modificazioni strutturali. L’asportazione dei solai all’interno della torre ha poi incrementato la perdita di monoliticità dell’intera struttura. In condizioni fatiscenti si presenta il muro della torre rivolto ad Est, parzialmente crollato per la caduta di un fulmine, in cui lesioni verticali sono distribuite lungo tutta la parete, in particolare in corrispondenza delle spallette delle aperture che tendono a distaccarsi dalla muratura cui erano ammorsate. Ma gli effetti del dissesto provocato dallo schiacciamento sono visibili su tutti i fronti con lesioni diffuse e fessurazione di monoliti. Gli intonaci risentono dell’azione diretta degli agenti atmosferici. Decoesione, alveolizzazione, rigonfiamenti, distacco e fessurazione sono gli effetti più evidenti delle piogge battenti, delle oscillazioni termiche, del gelo, del vento e dei dissesti della muratura. La cisterna, con volta a botte in bozze di pietra, posta al di sotto del piano di calpestio del cortile, è parzialmente intonacata con malta di coccio pesto e risente dei danni provocati dall’infiltrazione dell’acqua piovana;
la chiesa: grazie alla sua funzione sociale, che gli ha procurato periodiche opere di manutenzione, la chiesa è sicuramente l’edificio del castello meglio conservato. Questo non significa però che in esso non siano visibili forme di degrado e di dissesto considerevoli. Dissesti statici sono stati riscontrati lungo le superfici di contatto fra vecchia abside e nuova struttura. Lungo la base dei muri perimetrali è invece evidente il fenomeno erosivo provocato dal ruscellamento delle acque disperse. Anche la pavimentazione interna in cotto risente dell’umidità di risalita essendo probabilmente a diretto contatto con il terreno. Il muro esposto a Nord risente dell’assorbimento di una notevole percentuale di umidità provocato dalla maldestra realizzazione di un intonaco di cemento all’esterno della facciata. Le capriate lignee non presentano deformazioni o lesioni considerevoli.

Criteri di intervento
La scelta degli interventi proposti ha osservato, nei limiti possibili, i principi del restauro conservativo, scegliendo preferibilmente interventi che richiedessero la minima quantità di operazioni invasive, distruttive o irreversibili, ove questo non fosse indispensabile alla sopravvivenza dei manufatti architettonici. Si interviene inizialmente sulla vegetazione arbustiva ed arborea tramite l’applicazione di erbicidi sistemici e residuali per portare in luce i paramenti murari del mastio e delle mura. Per l’eliminazione di muffe, muschi e licheni saranno utilizzate soluzioni acquose di particolari prodotti biocidi o anche acqua ossigenata ad alta concentrazione da applicare a pennello. Negli interventi sulle strutture in elevazione si cercherà di ricreare una situazione di continuità strutturale iniettando miscele allo stato fluido con l’intento di riempire i vuoti e le fessure formatesi nella malta ovviando così alla perdita di coesione delle murature. Ove strettamente indispensabile verranno eseguite iniezioni armate in corrispondenza di angolate strutturali e di aperture. Relativamente alla protezione delle creste murarie si propone un intervento rispettoso della singolarità delle situazioni presenti, pur assicurando alle strutture una maggiore capacità di sopravvivenza, e reversibile e di facile manutenzione. Gli intonaci verranno interamente conservati e consolidati previa pulitura con acqua nebulizzata. Anche la pulitura della superficie del materiale lapideo sarà effettuata con acqua nebulizzata e deionizzata spruzzata da appositi atomizzatori a pressione controllata qualora sia ricoperta di materiale estraneo capace di produrre nuove alterazioni. Nella volta a botte della cisterna che presenta un sensibile abbassamento in chiave si procederà all’alleggerimento delle masse non strutturali gravanti su di essa realizzando una controvolta estradossale. Per ovviare alla costante presenza di acqua lungo le murature perimetrali della chiesa  si è proposta la realizzazione di un drenaggio adiacente i muri maggiormente interessati da tali fenomeni. Poiché anche la pavimentazione presenta vaste zone umide si dovranno smontare le pianelle in cotto e realizzare un solaio aerato con tavelloni posati su muretti.

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